Aggiornamento n.4: patologia HCC epatocarcinoma
Segue da Aggiornamento n.3 sull’HCC: epatocarcinoma.
Non ci sono studi di confronto tra TARE e TACE, per cui non è possibile fare raccomandazioni. Nelle percentuali di sopravvivenza non si registrano significative differenze in percentuale tra le due metodiche; c’è una maggiore opsedalizzazione per la TARE e maggiori effetti collaterali.
1 TARE ha il costo di 8 TACE e di 5 DebTACE, per questo non può essere proposto come cura dello stadio B; ha quindi molto più spazio nei tumori in fase avanzata. Anche la TARE versus sorafenib non ha mostrato significative differenze percentuali nella sopravvivenza; nel controllo di malattia la TARE mostra un 81% contro il 46% del sorafenib; nella progressione del tumore tali percentuali diventano 53% e 72%; nella risposta obiettiva i risultati sono 62% contro il 9%).
Il confronto tra TACE e TARE è stato interrotto per carenza di arruolamento; si potrebbe proporre Sorafenib + TARE contro sorafenib.
Linee guida, esperienza e buon senso
Se si esaminano le linee guida, si spiega la bassa aderenza ad esse, per la complessità dei casi che si presentano nella realtà. Le decisioni sono supportate dall’evidenza, quando presente, ma con ampie zone grigie, dove la scelta diventa frutto del buon senso e dell’esperienza.
L’area grigia può comprendere un HCC in stadio B, quando manca la caratterizzazione istologica per valutare l’aggressività del tumore ed esiste una incertezza sulla validità dell’applicabilità di alcune terapie (TARE) (il 40% dei pazienti con nodulo singolo con diametro inferiore a 5 cm è generalmente in stadio A- per non accessibilità alla RF o per presenza di comorbilità va alla TACE), oppure uno stadio B eterogeneo.
Il paziente ideale
Da questa complessità è nata l’esigenza di suddividere il gruppo B in B1, B2, B3, B4 e quasi C. I limiti delle linee guida sono che vorrebbe selezionare la migliore opzione possibile per il paziente ideale; viceversa, occorre cercare le soluzioni per il paziente comune.
Le nuove tendenze delle linee guida suggeriscono di effettuare l’ablazione percutanea nei pazienti che hanno una lesione di HCC nel fegato fino a 2cm, per gli effetti curativi che ha dimostrato. Nelle lesioni da 2,1 a 3 cm, la scelta va fatta caso per caso; oltre i 3 cm, l’ablazione viene dopo la chirurgia (la termoablazione è da preferire alla PEI per la predicibilità dell’area di necrosi, per l’area di sicurezza che si ottiene, che non può garantire la PEI).
Le micro-onde consentono di ottenere temperature più elevate, in minore tempo, e risentono di un minore effetto di dispersione del calore ad opera dei vasi; rende trattabile lesioni poste in sedi difficili.
Le sedi più difficili possono essere appannaggio della chirurgia laparoscopica, anche se si può utilizzare la laparoscopia per effettuare la termoablazione – questo conferma il fatto che a seconda di ciò che uno fa, determina le scelte terapeutiche del paziente, e non si sottopone alle linee guida: il paziente, a seconda della porta da cui entra, può trovare soluzioni terpeutiche differenti.
La resecabilità di una lesione è in funzione della capacità funzionale del fegato (riserva funzionale), dell’estensione del tumore e della localizzazione del tumore, con la finalità di garantire una radicalità incologica. In tutto questo l’ipertensione portale può giocare un ruolo.
A grandi linee, la lesione di HCC al di sotto di 2 cm dovrebbe andare alla termoablazione, quella tra 2 e 3 cm dovrebbe andare alla chirurgia. Il problema nasce con la multinodularità: chirurgia, se possibile è la prima scelta, RF se possibile è la seconda scelta, la Ceat come ultima spiaggia, mentre la TARE va riservata nei casi di invasioni vascolari:
TARE contro chirurgia è il vero studio da fare, non TARE contro TACE.
La chirurgia laparoscopica è applicabile in taluni casi. Nei casi di stadio B apre un quadro nuovo: puoi conferire radicalità oncologica a chi non se lo potrebbe permettere con le soluzioni alternative – l’ablazione laparoscopica va bene quando la percutanea non ha funzionato e comunque, prima di andare a Ceat – l’insuccesso di una termoablazione percutanea comporta la necessità di riconsiderare la soluzione chirurgica o di valutare la laparoscopia.